google-site-verification: google3c841a37cfb35c91.html

I ladri di sogni - pentelite 1

Associazione Culturale Pentèlite
Vai ai contenuti

I ladri di sogni

Autori in primo piano > Salvo Zappulla > Opere pubblicate

I Ladri di Sogni
Testo teatrale

Prefazione di Roberto Mistretta
Lombardi Editori
Pagg. 60
ISBN 9788882431518
Prezzo € 8,00

UN CASO LETTERARIO IL LIBRO DI SALVO ZAPPULLA

Ladri che rubano sogni ai siciliani.

Recensione pubblicata sulla terza pagina del quotidiano La Sicilia il 3 giugno 2016.
Parlare del romanzo di Salvo Zappulla, “I ladri di sogni”, non è facile perché la sua bellezza è così notevole che si rimane letteralmente senza parole. Una bellezza che si estrinseca in una leggerezza stilistica propria dei grandi maestri della letteratura, in una ironia sottile che avvolge il lettore fin dalla prima pagina e lo fa vibrare di piacere. E anche in una sorta di disperazione dovuta all’opacità del quotidiano, nascosta, sottaciuta, ma che è poi la vera molla, amara, che fa esplodere e risalire in superficie tutta l’ansia repressa di essere al mondo, di comunicare, di gioire. In quest’anelito, penso, consista la vera essenza dell’uomo, la sua nobiltà di essere umano.
Sono amico di Zappulla da molti anni, ma ciò non condiziona minimamente il mio giudizio sul suo libro – tengo a precisarlo per rispetto verso me stesso, verso questo quotidiano che ospita i miei scritti e verso i lettori. Piuttosto, l’amicizia mi permette di scavare più a fondo nel suo mondo poetico, nei suoi “sogni”, cosa che mi commuove e mi esalta, tanto da farmi mettere da parte qualsiasi mia incombenza quotidiana e scrivere di lui, della sua arte che, in questo caso, mi sembra coincida con la sua vita. Perché, in definitiva, si tratta di un romanzo autobiografico, sebbene fortemente surreale, espressione di una sensibilità che fa proprie le vicissitudini degli umili, dei derelitti, e di una presa di coscienza della propria impotenza rispetto a una realtà sociale irrimediabilmente compromessa che mette in gioco la stessa dignità dell’uomo. Zappulla, scrittore e uomo, in un modo naturale, istintivo, è l’alfiere della rivolta, del riscatto, pur consapevole egli che ogni speranza è frustrata in partenza.
Ecco un accenno alla trama, che non vorrei banalizzare a causa della necessità di essere sintetico. In un paese immaginario della Sicilia, Ficodindia, alcuni cittadini, che vivono in condizioni economiche precarie, sporgono denunzia per un furto quanto mai strano: nottetempo qualcuno ha rubato i loro sogni, per cui si sentono defraudati, come svuotati, senza speranza, sull’orlo della disperazione. I carabinieri, che sono invitati vivamente di cercare e arrestare i ladri per restituire quindi la “refurtiva” ai malcapitati, in un primo momento li prendono per visionari, per pazzi, poi in paese il fenomeno si espande talmente, sono così numerosi coloro che denunciano il medesimo il furto, che si debbono arrendere all’evidenza dei fatti. Ma le loro ricerche spasmodiche non approdano a nulla e finiscono per brancolare nel buio. Per quanto il maresciallo Vito Patania si adoperi per non far trapelare la verità che avrebbe evidenziato l’impotenza dell’Arma, la notizia diviene in breve tempo di dominio prima nazionale poi mondiale e si tengono riunioni e dibattiti per cercare di risolvere il grave problema.
Tutti questi eventi, in un susseguirsi continuo di colpi si scena, assurdi, esilaranti per comicità, tanto che qualcuno ha definito “delizioso” il romanzo. Ed esso è certamente “delizioso”, ma, riflettendo, per chi sa leggere veramente e capire, è pervaso da una profonda drammaticità, reale, allarmante. Ficodindia, paese dei sogni rubati ai poveri cristi, è la metafora di una regione intera, la Sicilia, che ha subito da sempre ruberie, vessazioni, da parte di politici corrotti, cinici e abietti, che si sono serviti della mafia, loro stessi mafiosi, per succhiare alla povera gente qualsiasi linfa vitale, qualsiasi possibilità di sperare in un futuro migliore, di sognare.
Sono convinto che Zappulla, con questo romanzo, sia da considerarsi un vero e proprio caso letterario: egli riesce a esprimere, col massimo della sua arte comica, il massimo della drammaticità. E’ qualcosa di veramente raro, di cui in letteratura non ricordo altri casi del genere; e mi sembra un miracolo che egli sia pervenuto a un tale risultato, tanto più perché penso che nella sua potente ispirazione non c’è alcuna traccia di intento morale, o esplicativo, com’è nella grande tradizione letteraria.
Ultimamente, Salvo Zappulla ha curato l’edizione teatrale de “I ladri di sogni”, premio “Massimo Troisi”, pubblicata da “Lombardi Editori”.
    
                                                                                                                  Aurelio Caliri




Recensione di Roberto Mistretta

Ci sono scrittori che hanno il raro dono dell’ironia. Salvo Zappulla coniuga questo dono ad un’estrema capacità di sintesi, sorretta da una scrittura elegante e scorrevole nella sua immediata semplicità, che ne rendono la prosa godibile e arguta. In questa sua fatica, “I ladri di sogni”, rivela invidiabili capacità inventive e spumeggiante verve, muovendo il lettore al riso amaro e smorzando i toni da melodramma che ci apparecchia per mezzo dei suoi protagonisti.
  Tipica della scrittura di Zappulla, è la rappresentazione di uno spaccato di sicilianità, che in definitiva diventa campionario paradigmatico dell’intera umanità, coi suoi vizi e i suoi peccati, che l’autore stempera nell’autoironia.
  Zappulla coltiva con la notte in generale e i sogni in particolare, rapporti privilegiati, appartenendo a quella categoria di scrittori visionari che hanno raccolto, nella normalità dell’assurdo, la lezione di Dino Buzzati e, nell’autocostruzione continua dell’universo, l’insegnamento di Italo Calvino, autori a cui il nostro non nasconde di ispirarsi.
  Ne “I ladri di sogni”, delizioso romanzo da cui è stato tratto un Atto unico per il teatro (Secondo classificato a Napoli, al Premio 2006 Massimo Troisi), la trama si svolge di notte. Notte amica, silenziosa e magica. L’autore ama la notte perché solo di notte può sognare e fantasticare e volare in alto, lassù tra la luna e le stelle e anche oltre, per guardare dritto negli occhi il Grande Burattinaio dell’umana commedia della vita. Zappulla però sembra ammonirci a non dimenticare mai da dove veniamo e dove siamo chiamati a schiantarci, e non solo per mera forza di gravità, quanto piuttosto per una condizione che, come ci ricorda Pascal, è propria di ogni creatura umana: Desideriamo la verità e non troviamo in noi se non incertezza. Cerchiamo la felicità e non troviamo se non miseria e morte. Tale aspirazione ci è lasciata sia per punirci sia per farci sentire di dove siamo caduti”.
  Siamo in Sicilia, paese di Ficodindia. Dopo una giornata di luce e arsura, finalmente la notte. E il riposo. Palpebre che si serrano e uomini che sognano, liberi dai gravami diurni, e diventano puledri selvaggi, criniere al vento e frementi ungule a mordere le immense praterie dei desideri inconfessati, custoditi, amati e, solo nei sogni, finalmente liberati. Ma che succede se qualcuno trova il sistema di depredare i sogni e tali ruberie si ripetono notte dopo notte, tra la povera gente di Ficodindia, dove, i poveri diventano così ancora più poveri, impossibilitati a sognare?
  Che succede se ad un uomo, togli anche i sogni?
  Che rimane di lui, di noi?
Scrittore di profonda umanità con le sue caricature/creature letterarie, capaci di rimanere a lungo nella nostra memoria, Zappulla muove il lettore al riso e alla riflessione, per esorcizzare le nostre paure, tenendoci ben stretti solo a ciò che può farci volare seppure non possediamo le ali: le nostre aspirazioni più profonde, le speranze. In una parola, i nostri sogni.


Recensione di Maria Antonietta Pinna

Di cosa sono composti i sogni?
Impalpabili, fluttuanti sulle palpebre stanche, viaggiano nel liminare, nel subconscio, ad un livello profondo, lunare, notturno, in parte inattingibile, fatto di nebbie e contrasti, misteri, assurdità e trame fitte di desideri inespressi, di pulsioni vive e ribelli all’attività censoria esercitata dal concreto mondo ragione. Sogno, simbolo, radice di vita e spesso, per fortuna ribellione alla stessa, al suo grigiore monotono. L’uomo è una creatura indifesa, per quanti beni possa accumulare, è sempre fragile, nudo e tremante in balia della sorte. Non c’è oro che colmi l’angoscia, non c’è argento che plachi l’ansia del non-esserci. Burattini. Non siamo nulla nell’economia generale dell’Universo, puntini, entità facilmente sostituibili, possiamo morire da un momento all’altro per un banale qualsiasi motivo. Nessuno è indispensabile. Anche oggi, nell’era tecnologica, immagini su immagini riversate su di noi, di tutti i colori, affreschi e illusioni, oggi che si acquista qualsiasi cosa con un pezzo di carta, la carne conosce la putrescenza, la morte non può essere amica della sua transeunte bellezza.
Bellezza?
A che serve?
A farci sognare.
Ma il sogno che c’entra? A sua volta qual è  la sua utilità, il suo scopo?
Il sogno è come un’ancora di salvezza, un bene prezioso, una forza primigenia e ancestrale da tutelare, uno scrigno elementare di gioielli dal valore inestimabile. In esso pieno e vuoto si identificano, fondendosi in un’unica sfera. Un uomo senza sogni è finito, annientato, come una pagina bianca, come un albero senza radici. Rubare un sogno, equilibri sconvolti. Tutto inizia così a Ficodindia, piccolo paese della Sicilia, un luogo dell’anima in cui tutti si conoscono. I personaggi sembra di toccarli, di vederseli davanti, partoriti dalla semplicità e scorrevolezza della narrazione. Dalle pagine si avverte il loro odore di miseria stantia, di duro lavoro, di stenti, le loro paure, lo stile di vita. «Giuseppe Calabrò... nato a Ficodindia...Il soggetto in questione appariva al cospetto del sottoscritto, carabiniere ausiliario Bucciarelli Carmine, in condizioni fisiche e mentali a dir poco pietose. Gli abiti, se abiti si potevano definire gli stracci che portava addosso, emanavano un senso di squallore, di povertà e desolazione, e il volto aveva qualcosa di animalesco: i capelli irti come aculei di istrice, le sopracciglia aggrottate in una turpe espressione rendevano lo sguardo ora ebete ora allucinato...il viso stesso risultava gravemente penalizzato da lineamenti verso i quali madre natura è stata particolarmente avara...». I dialoghi intrisi di ironia danno forma ai caratteri. Su tutto aleggia la notte in cui la vicenda si svolge. Notte, buio, oscurità, regno del meraviglioso e della fantasia, dominio di spiriti erranti. È un metatempo in cui tutto assume un altro colore, una dimensione ovattata, oniroide, alla rovescia. Nei sentieri notturni l’immaginifico, per riafferrare i fili della vita e tenerli stretti nella ricerca della strada e della desiderabile verità. Il furto dei sogni è metafora dell’incertezza, della fragilità, danno e privazione, riflessione sul destino umano e sulle priorità individuali. Chi osa rubare un sogno è un depauperatore di coscienze, un distruttore, genera angoscia e pianto, perché senza sogni diventiamo il dominio del nulla. Conservare i sogni è un atto di autoaffermazione, di stima e valutazione della propria esistenza nel tempo cosmico del pianeta. Ficodindia è un paese qualsiasi. La luna e le stelle vivrebbero lo stesso anche senza quest’angolo gocciato dalla penna di uno scrittore, queste pietre letterarie. Proprio per questo la sua storia è quella di altri luoghi realmente esistenti il cui destino potrebbe essere quello di un furto metafisico di sogni. La loro assenza è intollerabile su qualunque piano ci si trovi, realtà o fantasia.
“I ladri di sogni” è un romanzo godibile e simbolico, ricco di spunti che inducono ad ampie e meditate riflessioni su temi universali da cui è stato tratto anche un Atto unico per il teatro, secondo classificato a Napoli, al premio 2006, Massimo Troisi.
Sicuramente una lettura da fare.

Recensione di Montagnoli

Occorre prendere atto che Salvo Zappulla ha la straordinaria capacità di permeare i suoi scritti di una sottile ironia, mai caustica, ma che è in grado di conferire alle sue opere una salutare levità che non poco concorre alla gradevolezza della lettura. Se poi consideriamo che si muove nella scia della migliore produzione surrealistica è possibile comprendere che in un narratore come lui, a cui certo la fantasia non fa difetto, l’opera plasmata sia prima di tutto un suo divertimento, che contagiosamente si trasmette a chi si accosta alle sue pagine. È anche questo il caso di I ladri di sogni, un  romanzo tutto sommato breve (101 pagine), da cui ha tratto anche una fortunata versione teatrale che, presentata da inedita al Premio Massimo Troisi 2006, ha incontrato i favori dei giurati, classificandosi al secondo posto. Pubblicata ora da Lombardi Editori.  L’idea di base di questo libro è talmente inverosimile da sembrare possibile, visti i continui progressi della scienza. A Ficodindia, anonimo paesino siciliano, dove il tempo è immobile da secoli, accade che ai cittadini, quasi tutti quelli di umili condizioni, vengano sottratti i sogni nel corso della notte, e quel che è peggio è che in tal modo viene loro impedito di sognare anche in seguito. Se uno non ha nulla al mondo l’unica cosa che gli resta è la speranza, che si concretizza durante il sonno nella realizzazione dei suoi desideri. Niente sogni, niente speranza, e così si diventa abulici, disinteressati, facilmente governabili. Perché sta in questo il messaggio metaforico di Zappulla: chi tiene il potere, per mantenerlo, ha la necessità di sottomettere i cittadini, togliendo loro perfino il desiderio di vivere e facendoli diventare quasi degli automi. Le pagine scorrono fra le denunce dei derubati e le esilaranti indagini della locale caserma dei carabinieri, finché del fatto non viene a conoscenza anche il governo che, motu proprio, si incarica di cercare quei ladri di sogni che in effetti non intende cercare. Come sarà la conclusione? Non intendo anticipare nulla, ma siamo in Italia e per di più in Sicilia, cioè in uno stato e in una regione dove non c’è più nulla di definitivo del provvisorio. Stupisce inoltre Zappulla con quel suo stile sobrio, ma preciso, con quella capacità di ricreare ambienti e atmosfere che è peculiarità di pochi narratori assai più conosciuti di lui e che, giustamente, incantano il lettore che non potrà a sua volta non essere attratto dallo svolgimento della trama, dalla perfetta descrizione di Ficodindia, da quell’immobile e assolata atmosfera di un paese che è la copia di tante analoghe realtà siciliane. Se con Kafka e il mistero del processo ero rimasto colpito da un’opera di elevato livello, con I ladri di sogni sono rimasto estasiato, tanto da leggerlo più volte al punto che di tanto in tanto entra nei miei sogni, che ho opportunamente blindato da qualsiasi tentativo di furto.
Leggetelo e non è solo un consiglio, perché non potrete che essere poi più che soddisfatti.  


© Associazione Culturale Pentèlite
© 2017 Created with WebSite X5 v16 Mario Lonero


Torna ai contenuti