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Kafka e il mistero del processo

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Kafka e il mistero del processo
romanzo di Salvo Zappulla
(Edizioni Melino Nerella)

Prefazione di Massimo Maugeri

“Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale”. Sono parole di Luigi Pirandello, queste. Tratte dalla sua prefazione a Sei personaggi in cerca d’autore: una delle opere teatrali più celebri del Premio Nobel della Letteratura nato ad Agrigento, ma anche uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale in grado di esprimere lo strettissimo rapporto che lega personaggi e autori. Come nascono i personaggi? Lo stesso Pirandello, nella citata prefazione, sostiene che “un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana”. Credo che non ci sia definizione migliore di questa, per spiegare cosa è un personaggio letterario: una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana.
Chissà se Pedro Escobar, sub-protagonista de Il processo di Salvo Zappulla, ha mai letto questa definizione. Non è un caso se utilizzo il termine sub-protagonista; perché il protagonista vero di quest’opera di Zappulla, edita da Del Vecchio, è in realtà proprio l’autore (che dunque riveste anche i panni di personaggio principale). Anzi, l’Autore. Con la “a” maiuscola.
La storia narrata da Zappulla si innesta nell’ampio filone di opere narrative che contemplano palesi legami tra personaggi e loro creatori. È probabile che Pedro Escobar si senta davvero una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. E forse è proprio alla volubile esistenza quotidiana che decide di ribellarsi, sfuggendo di mano all’Autore e conquistando una propria autonomia con l’obiettivo di infilarsi nei meandri della letteratura che conta: quella destinata a durare nel tempo. Ed ecco che Escobar - da piccolo personaggio di un autore di provincia - si conquista il ruolo di comprimario all’interno di opere considerate pietre miliari della letteratura, corrompendole: da Madame Bovary a La piccola fiammiferaia, fino al Deserto dei Tartari… giusto per citarne qualcuna.
Questa sua ribellione costa molto cara all’Autore. Ma a Escobar non importa. Come si dice: mors tua vita mea.
Che il personaggio rivendichi la sua indipendenza, del resto, non è una novità. Lo sottolinea anche IL PADRE, uno dei già citati Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, che - a un certo punto - dice: “Quando i personaggi son vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch’essi appunto gli propongono; e bisogna ch’egli li voglia com’essi si vogliono; e guai se non fa così! Quando un personaggio è nato acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant’altre situazioni in cui l’autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l’autore non si sognò mai di dargli!”
Ed è proprio quello che accade a Pedro e al suo Autore. A differenza dei sei personaggi, che – come spiega IL PADRE – nascono dalla fantasia di un autore che non seppe o non volle farli vivere in un’opera d’arte, Pedro è più fortunato. Non soltanto nasce, ma il suo Autore gli conferisce una nuova dignità rispetto alle sue condizioni originarie. Solo che l’Autore non ha adeguatamente riflettuto sul fatto che un personaggio è una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. Del resto, come avrebbe mai potuto immaginare - l’Autore - che per via della ribellione di un suo personaggio sarebbe finito dietro le sbarre? In altre parole: come avrebbe potuto prevedere, l’Autore, che la conquista dell’indipendenza da parte di un suo personaggio lo avrebbe fatto precipitare in una sorta di inferno? Una domanda che – a suo modo – contiene un paradosso. Perché se è vero - come è vero - che l’autore per il suo personaggio è il suo Creatore … potremmo paragonare l’autore a Dio e il personaggio ribelle a Lucifero. Solo che, in questa storia di Zappulla, la relazione viene ribaltata giacché non è il personaggio-lucifero a precipitare negli inferi.
Certo, non sempre è così. Non sempre i personaggi, per tentare di sopravvivere alla volubile esistenza quotidiana, diventano pericolosi – quasi letali – per i loro autori. Ci sono personaggi docili, rispettosi; che entrano nella storia in punta di piedi e – quasi sussurrando – si rivolgono all’autore riconoscendone la supremazia. L’onniscienza.
È quello che avviene, per esempio, nel romanzo Colomba di Dacia Maraini: “Quando le chiedono come nasce un suo romanzo, la donna dai capelli corti risponde che tutto comincia con un personaggio che bussa alla sua porta. Lei apre. Il personaggio entra, si siede”.
A volte il personaggio rimane e “continuerà a narrarle i particolari di una storia che diventerà man mano più complicata e dettagliata. A questo punto sarà chiaro che è venuto il momento di scrivere un nuovo romanzo”. E più avanti leggiamo: “Un personaggio ha bussato alla porta della donna dai capelli corti. Ha battuto le nocche timidamente, è entrato senza far rumore.”
Un personaggio che entra in punta di piedi, dunque. Bussa alla porta… timidamente. Ed entra… senza far rumore.
Tutto il contrario di Pedro, il quale non solo è tutt’altro che timido e fa un gran fracasso, ma crea veri e propri sfaceli. A causa sua l’Autore viene deriso, odiato, insultato, minacciato, vilipeso. Viene dipinto come un mostro e, come già accennato, finisce persino in prigione.
Ma la storia della letteratura pullula di casi in cui autore e personaggio si trovano di fronte in contesti tutt’altro che rispettosi. Perché non tutti i personaggi, sia chiaro, sono colombe. Non lo è Pedro, certo… ma per consolare l’Autore è bene sottolineare che può capitare di peggio. Basti pensare (passando alla letteratura d’oltreoceano) al caso di Thad Beaumont, scrittore-personaggio del romanzo La metà oscura di Stephen King. Beaumont si è costruito un alter ego letterario - George Stark – con il quale firma romanzi su di un killer violento chiamato Alexis Machine. A un certo punto si viene a sapere che Thad Beaumont, autore di opere più impegnative, è in realtà Stark. Per questo motivo Beaumont decide di disfarsi del suo alter ego e simula una sorta di funerale con il quale ne dichiara la fine. Ma Stark, nelle settimane successive, resuscita dalla sua falsa tomba per vendicarsi.
Insomma, da questo punto di vista il Pedro Escobar di Zappulla è in buona compagnia.
Peraltro non è infrequente che un autore decida di sopprimere un proprio personaggio. È accaduto – come è noto – anche nella realtà a Sir Arthur Conan Doyle, allorquando tentò di liberarsi del suo Sherlock Holmes (personaggio divenuto troppo ingombrante)… facendolo morire; non tenendo conto, tuttavia, della reazione furibonda dei lettori che lo indussero a far rinascere Mr. Holmes. A tal proposito, tornando a Stephen King, potremmo citare un altro suo noto romanzo: Misery. In Misery lo scrittore Paul Sheldon subisce un incidente automobilistico che lo riduce in uno stato comatoso. Viene salvato da Annie Wilkes, un'ex infermiera professionale che lo porta nella propria abitazione per curarlo. Caso vuole che Annie è una sua lettrice e una fan sfegatata di Misery Chastain, personaggio seriale ideato da Sheldon; ma Annie è anche una pericolosa psicopatica e non perdona a Sheldon di aver fatto morire la sua eroina nell’ultimo romanzo della serie. Così, come succede a Doyle per Holmes, anche Sheldon – a causa delle violenze di Annie – è costretto a far rivivere la sua Misery tramite uno stratagemma narrativo.
Chiudo la parentesi aperta sulla letteratura angloamericana citando un ulteriore caso di relazione tra autore e personaggio: è quello di Paul Auster nella sua Città di vetro, racconto lungo contenuto nella famosissima trilogia di New York. Il protagonista della storia è uno strano detective, chiamato Quinn. Una sera Quinn riceve una paradossale telefonata. Il tizio dall’altra parte del cavo non desidera parlare con lui, ma… con il signor Auster. Sì, proprio Paul Auster. In questo caso dunque l'autore – l’autore vero e proprio, con tanto di nome, cognome e identità – appare in un proprio libro. E senza esserne il narratore (il quale è un amico di Auster a cui costui ha raccontato gli avvenimenti).
Tornando a questo romanzo di Salvo Zappulla, è opportuno sottolineare la citazione contenuta nello stesso titolo. Si tratta di una forma di tributo; di un omaggio a uno dei più grandi autori del Novecento, che con il suo processo ha messo in risalto l’assurdità di certi meccanismi sociali e la conseguente angoscia da essi generata. In effetti, le atmosfere che Zappulla crea in questo libro denotano ascendenze kafkiane, sebbene rivisitate da una rilevante verve umoristica e rese - peraltro - con stile fluido, personaggi grotteschi e trama avvincente condotta con levità fiabesca.
Ne viene fuori un'opera tragicomica di stampo fantozziano (mi si consenta l'uso del termine). Del resto ho sempre visto Fantozzi come una derivazione del tipico personaggio kafkiano, una sorta di uomo-insetto che (in chiave tragicomica, appunto) cerca di barcamenarsi tra le ingiustizie - spesso arcane - della vita e del sistema sociale. Fallendo. Miseramente fallendo. Ma è un fallimento che contiene, paradossalmente, il germe di un'indomita denuncia.
In effetti anche la trasfigurazione della realtà che ci offre Zappulla in questo libro nasconde intenti di denuncia. Denuncia di certi meccanismi insiti nel sistema editoriale, delle aspettative - a volte fini a se stesse - di chi scrive, della facilità con cui chi scrive - spesso - viene massacrato con giudizi più sommari dei peggiori processi della storia. Una denuncia che fa sorridere. A volte con amarezza. Altre volte di gusto. Una denuncia, però, che lascia aperti spiragli di speranza che filtrano tra le pieghe del commovente - anche se un po' rassegnato - abbraccio finale tra l'Autore e il suo Lettore.

Massimo Maugeri


Recensione di Simona Lo Iacono

Chi legge sa bene l’inganno.
Chi legge conosce l’attesa.
Chi legge non si stupisce se la carta ha sangue, corpo, fiato. Se traspira un odore che non è solo di inchiostro.
Chi legge è nella notte se il libro la descrive stellata e senza sbavature. Chi legge è alla ricerca della felicità se la pagina la rimanda, inquieta, incerta, imprevista. Chi legge è nel desiderio, chi legge è nella fame. Ha fame di sapere e al tempo stesso  sa che anche la fame è un vizio. E che sarebbe meglio toglierselo  in fretta.
Chi legge poi, non guarisce mai. E nemmeno chi scrive.
Perché chi scrive è lo stesso lettore che non si rassegna, che ai sogni volta le spalle solo per dovere, che s’imbeve di una realtà che gli sta stretta per gioco o per necessità, senza  sentirsela mai sulla pelle. Pelle sono invece le parole che trapungono uno spazio senza segni e senza storia. Pelle è l’affacciarsi di un’ idea che s’impenna e si scrive da sé. Pelle è abitare nei propri sogni e fingere – solo fingere – che siano tali. Lo scrittore non è altro. Uno che si sforza di ricordarsi che vivere non è sogno. E sarà forse per questo che chi non legge e chi non scrive non può che vederlo come un mostro. Sarà forse per questo che vagolerà tra gli altri senza essere compreso, anzi allertando sensi e autorità, spargendo panico e disordine sulla vita composta di chi – invece – che la vita non è un sogno lo ricorda benissimo. Sarà forse per questo che verrà processato, esiliato, condannato alla pena più dolente per  un sognatore. Vivere senza scrivere. Vivere senza leggere. Vivere senza fingere che la carta abbia profumo di corpo. Condanne così sono più frequenti di quanto si possa pensare. E tribunali così ne esistono ovunque, tra le maglie della famiglia o della scuola, tra gli anfratti d’un ufficio pubblico o nell’intrico di corridoi di una banca. Processi così se ne celebrano a decine. Senza difesa. Non sembri allora che “Kafka e il mistero del processo “ di Salvo Zappulla (Ed.Melino Nerella) , sia solo il gioco di chi armeggia con disinvoltura e genialità una visione. Non sembri il divertissement colto e ben piantato che uno scrittore siciliano d’infallibile ironia sa tramare. Kafka e il mistero del processo evoca una realtà interiore. Rimanda una voce. Si scontra colla barbarie d’un mondo che vola basso. E se prende toni di farsa, se  a tratti spiffera come un allegro giullare note ridanciane, lo fa col sottofondo d’una malinconia che è anche paura di vivere dove ti senti straniero. Perché chi legge sa bene l’inganno.
Chi legge conosce l’attesa.
Chi legge non si stupisce se la carta ha sangue, corpo, fiato.
Chi legge non nasconde a se stesso che non avrà  vita facile tra coloro che non leggono.
Chi legge  (e chi scrive) si rassegna a  essere – per gli altri – solo  un mostro.
(ed. Armando Siciliano editore €10,00)


Recensione di Aurelio Caliri pubblicato su “La Sicilia” 20.07.14

Considerato che uno scrittore nelle sue opere finisca in fondo per raccontare  se stesso, leggendo l’ultimo romanzo di Salvo Zappulla, “Kafka e il mistero del processo” (Melino Nerella Edizioni), rimango  sbalordito dalla profondità della sua personalità  e dall’abilità con cui ha saputo fondere fantasia, ironia, passione, tenerezza,  attraverso una scrittura incalzante, scatenata, di una leggerezza che ha pochi precedenti nella storia della letteratura, in cui i colpi di scena continui hanno dell’incredibile dalla prima all’ultima pagina. E direi, a proposito, e  senza esagerare nel mio giudizio, che questo libro straordinario e originalissimo rappresenta proprio  il “trionfo della fantasia”.
     La storia di primo acchito è esilarante, ma poi, man mano che  ci si addentra nell’ avventura dell’Autore, novello protagonista dei personaggi kafkiani  e come loro prigioniero del sistema, si capisce quanto sia grandiosa quest’opera: c’è in essa, in sintesi, tutto il mistero  della vita dell’uomo, del suo anelito incessante alla ricerca della bellezza, della presa di coscienza della propria  dignità  e nobiltà che lo porta a rifuggire da qualsiasi compromesso. E’ una storia che ha l’intento di contrastare gli interessi oscuri del potere, il quale vuole cancellare a ogni costo la  sete di conoscenza dell’umanità distruggendo la cultura e con essa i libri che hanno segnato il progresso della civiltà, instaurando  così una sorta di totalitarismo ideologico al fine di conseguire i propri loschi affari. Questo libro è un baluardo contro l’oscurantismo, è una denuncia vibrante contro il cinismo, la prepotenza in cui giorno dopo giorno ci imbattiamo.
Ma è anche un libro di poesia in cui il sogno è l’elemento essenziale per respirare, per vivere, in cui il surreale e il fiabesco hanno un ruolo determinante. Fanno capolino così i grandi della letteratura attraverso un dialogo ideale con l’ Autore, da Dante a Buzzati, da Dumas a Collodi, da Shakespeare ad Andersen. Ma a me viene anche di pensare all’autore dei “Viaggi di Gulliver” e a un altro grande romanzo, “L’ombra del vento”, dello scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafòn, nel quale il libro assurge  a linfa essenziale per la crescita ideale e morale dell’uomo. Nel romanzo di Zappulla  occhieggiano   anche loro perché la vera arte è una ventata di bellezza che  avvolge i grandi artisti senza che a volte l’uno sappia dell’altro. “Kafka e il mistero del processo” farà di sicuro, e a lungo, parlare di sé, perché è un capolavoro assoluto. Ne sono fermamente convinto.
                                                                                            


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